Il castello di Avella e la leggenda del principe persiano

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Avella è un piccolo comune della Campania, in provincia di Avellino, famoso per la coltivazione della nocciola, dal quale deriva anche il nome stesso del paese. In latino, infatti, il frutto del nocciolo si chiama nux avellana.

L’antica Abella era di rilievo, fra i centri medio-piccoli della regione, anche se superata in importanza e grandezza dalla vicina Nola. L’unico avvenimento storico da citare riguarda, sicuramente, la sua fedeltà  a Roma durante la guerra sociale (91 a.C. – 89 a.C), che fu punita nell’87 a.C. con la distruzione da parte dei sanniti, che ancora occupavano Nola.

Non molto dopo questo evento ad Abella, così come a Nola ed a Pompei, venne fondata una colonia da parte di Silla. Il periodo romano terminò con l’arrivo dei Longobardi, a cui si deve anche la costruzione del Castello di San Michele (detto semplicemente “Castello di Avella“), che domina la città da una collina che borda la parte orientale della pianura campana e il fiume Clanio.

Storia e leggenda

Dedicato, appunto, all’arcangelo San Michele, il maniero fu eretto nel VII secolo con lo scopo di controllare i confini, ma subì comunque numerosi attacchi, fra cui quello saraceno dell’883.

Come ogni fortezza che si rispetti, inoltre, è circondato da un’aura di mistero ed è scenario di una leggenda, i cui protagonisti sono due giovani innamorati: Cofrao e Bersaglia.

Si narra, infatti, che un giorno giunsero ad Avella un principe persiano, una ragazza bellissima e alcuni loro servi. Nessuno capì che si trattasse di un principe ma, in poco tempo, il ragazzo riuscì, con i suoi modi gentili e garbati, a farsi amare e benvolere da tutti, tanto che, insieme ad alcuni giovani del posto, costruì, in pochissimo tempo, uno splendido castello, dove finalmente vivere serenamente il suo amore: infatti, la coppia era osteggiata dai reali parenti del principe, che desideravano per lui una donna nobile e non una contadina; ecco perché i due giovani erano dovuti fuggire lontano. La loro felicità, però, durò ben poco: la fanciulla fu colpita da un male oscuro.

Nessun medico riuscì a capire di cosa soffrisse e, dopo mesi di agonia, morì, lasciando il principe devastato dal dolore, tanto da fargli decidere di tornare a casa. Salito a cavallo, fuori dalle mura del castello, sentì il suono di una lira e una voce melodiosa: era quella della sua amata.

Decise di tornare indietro, seguendo la direzione della voce ma, all’improvviso, il cavallo si imbizzarrì e lo disarcionò. A questo punto, prima di svenire, il principe vide un panno sporco di sangue sul quale era scritto: “come in vita ci ameremo anche in morte”. Rinvenuto dopo alcune ore, si accorse che il castello era stato sostituito da una immensa distesa di tombe, una delle quali era vuota. Messosi in piedi a fatica, si avvicinò al suo bordo e si lasciò cadere dentro, morendo all’istante.

In onore di questa tragica storia d’amore, gli avellani iniziarono a piantare intorno al castello dei semi d’agave, qui chiamata anche “’a ‘mmiria”, ossia “invidia”, quella che loro ritenevano essere la causa della morte dei due giovani.

Ancora oggi, c’è chi giura che, in alcune notti, si possa sentire il suono di una lira e una voce melodiosa o che, nelle notti di luna piena, attraverso le finestre del castello, si vedano due ombre che passeggiano.

Per gli avellani, sono le anime dei due innamorati che neanche la morte è riuscita a separare.

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