Le canzoni liriche napoletane scritte al Gambrinus

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Quante sono state le canzoni classiche napoletane ispirate dall’atmosfera del Gran Caffè Gambrinus, nell’arco dei secoli?
Tante, più di quelle che si potrebbe immaginare.

Dal momento della fondazione, nel 1860, e con la consacrazione a tempio della Belle Époque napoletana, ai tavolini del Gambrinus hanno sempre presenziato personalità eccellenti del panorama socio-culturale della città, anche se il successo di quei locali ha da sempre coinvolto le persone più disparate, appartenenti ad ogni ceto sociale.

Sono tantissime le opere avvolte a metà tra storia e leggenda che si dice siano state concepite proprio lì, in quell’angolo di mondo, ma di alcune siamo assolutamente certi e vale, quindi, la pena fare questo viaggio nel tempo!

‘A vucchella – Gabriele D’Annunzio e Francesco Paolo Tosti

‘A vucchella” è ben più di un semplice classico della canzone napoletana.

È stata composta, infatti, da Gabriele D’Annunzio, un letterato tutt’altro che partenopeo!

“Il Vate”, in effetti, era abruzzese ma ha vissuto per diversi anni nel capoluogo campano (dal 1891 al 1894), lavorando anche alla storica redazione de “Il Mattino” con un collega, tale Ferdinando Russo, che lo sfidò sulla capacità di comporre liriche in dialetto partenopeo: fu proprio così, da una scommessa, che nacque quella che era una poesia appassuliatella e che poi, accompagnata dalle musiche del conterraneo Francesco Paolo Tosti, si consacrò a simbolo di Napoli nel mondo, una volta registrata e pubblicata dalla Ricordi di Milano.

Dicitencello vuje – Rodolfo Falvo e Enzo Fusco

Esattamente un secolo dopo, nel 1930, ad uno dei tavolini più esterni del Gambrinus, tra quelli che danno direttamente sull’immensa Piazza del Plebiscito, nacque un altro capolavoro destinato a diventare un successo senza tempo.

Stiamo parlando di “Dicitencello vuje“, originatasi da una poesia lasciata quasi per caso da Enzo Fusco su un foglietto, proprio durante una pausa caffè con l’amico di sempre Rodolfo Falvo. Fu quest’ultimo, già da tempo immerso nel mondo della canzone napoletana, a rendersi conto di avere tra le mani una potenziale opera d’arte: immediatamente, quindi, si impegnò a comporre delle musiche che potessero accompagnare quelle parole d’amore così dolci e disperate, nate da un tormento interiore dell’autore.

Fusco, infatti, era famoso per il suo carattere impacciato ed introverso che non gli consentiva di avere successo con le donne e che, anzi, finì per allontanare proprio l’oggetto del suo desiderio a causa di un comportamento sbagliato.

Marechiare – Salvatore Di Giacomo e Francesco Paolo Tosti

Quando si pensa alla canzone napoletana è impossibile non volare col pensiero alla meravigliosa “Marechiare“, i cui testi furono composti dal poeta Salvatore Di Giacomo, per le musiche, ancora una volta, di Francesco Paolo Tosti.

In questo caso, la storia davvero si mescola al mito perché esistono due scuole di pensiero:

  • chi è convinto che l’autore si sia ispirato ai versi proprio guardando alla famosa Fenestella di Marechiaro;
  • chi ritiene che le cose siano andate esattamente all’opposto e che Di Giacomo abbia potuto ammirare la finestrella più famosa di Posillipo soltanto in seguito al componimento, avvenuto in maniera spontanea e per esclusivo frutto della sua immaginazione, seduto ai tavolini del Gran Caffè che era solito frequentare (correva l’anno 1885).

Ovunque risieda la verità, si è trattato di un altro tassello importante che si sarebbe andato ad aggiungere nel panorama della grande musica lirica di Napoli che avrebbe contribuito a fare della città una delle mete più ambite da parte dei grandi personaggi dell’Italia e dell’Europa dell’Ottocento e del primo Novecento.

Voce ‘e notte – Edoardo Nicolardi ed Ernesto De Curtis

L’ultimo brano sicuramente da citare è la struggente “Voce ‘e notte“, composta nel 1903 e pubblicata l’anno dopo, con i testi di Edoardo Nicolardi e le musiche di Ernesto De Curtis; anche in questo caso si trattava di un riferimento autobiografico dell’autore poiché Nicolardi, all’età di 25 anni, si era invaghito di una certa Anna Rossi che, però, venne “accomodata” dai genitori a sposarsi con un facoltoso commerciante settantacinquenne. Anche in questo caso le liriche furono composte ai tavolini del Gambrinus.

Siete curiosi di scoprire come andò a finire quella storia d’amore travagliata? Dopo la morte dell’anziano marito, la Rossi fu finalmente libera di sposarsi con chi amava veramente, il suo Edoardo!

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