Baia di Trentaremi: gioiello posillipino

Le insenature della collina posillipina offrono luoghi e paesaggi unici, incastonati tra terra e mare: la Baia di Trentaremi, con le sue grotte, ne è uno.

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La tufacea collina di Posillipo, posta a nord-ovest del comune di Napoli, custodisce tra le sue dolci insenature delle meraviglie inimmaginabili.

La Baia di Trentaremi affascina i suoi visitatori da tempo immemore ed è posta tra Nisida e la Gaiola, precisamente da Punta Cavallo, estremo lembo di un antico cratere, allo scoglio di Virgilio e rientra nell’Area Marina Protetta della Gaiola. Le acque cristalline che la bagnano, le spiagge di ciottoli e le sue numerose grotte lasciano a bocca aperta chiunque la visiti.

Storia

Questa baia, così come tutto il litorale posillipino, è stata per molto tempo dimora di Greci e Romani. Quest’ultimi sono sicuramente quelli che hanno maggiormente lasciato impresso il loro passaggio sul territorio ed infatti non è per nulla difficile, esplorando quest’area, incappare in reperti archeologici: si possono trovare sia sulla terraferma che osservando sotto la superficie del mare, a causa dei fenomeni di bradisismo a cui quest’area è sottoposta, che hanno provocato l’inabissamento dell’originale linea di costa. I reperti sono numerosissimi poichè, giusto sopra la Baia di Trentaremi, si estende l’incredibile Parco del Pausylipon, antica “domus” romana appartenente al cavaliere Publio Vedio Pollione.

Il sistema di cavità della baia

Ciò che rende questo posto così incredibile alla vista sono, sicuramente, le otto grotte tufacee che si aprono all’interno delle alte falesie della baia. Due di queste sono totalmente navigabili ed hanno origini naturali, mentre le altre sono semi-sommerse ed hanno probabilmente origine antropica. Tra le prime due, la più famosa è sicuramente la Grotta del Tuono, chiamata così a causa della sua volta a botte che amplifica il rumore delle onde che vi si infrangono in un tonfo simile ad un tuono. Sebbene abbia genesi naturale, la sua forma attuale non è quella originaria perché anch’essa, come le altre cavità, ha subito diverse opere estrattive in età romana.

Le grotte artificiali sono nate, appunto, grazie a queste opere d’estrazione del tufo. Nella parte sommersa di una di esse è stato ritrovato il cunicolo di un acquedotto romano che sale all’interno del promontorio e conduce ad un ambiente soprastante,con mura in “opus reticolatum” e pavimento in cocciopesto (materiale impermeabilizzante), che quasi sicuramente era una cisterna.

Altra grotta degna di nota è quella di Acampora: questa, a differenza delle altre, non è il risultato dell’estrazione del tufo e vi si accede via mare tramite tre differenti cunicoli; uno di questi porta ad un vestibolo sul quale appare un’iscrizione che ne indica la data di costruzione (1888) e le iniziali di chi la ordinò. Da qui, grazie ad una rampa di scale, si raggiunge una finestra che affaccia sulla baia. Il vestibolo sovrasta un’altra sala, alla quale si accede grazie agli altri due cunicoli, sulla cui parete di fondo c’è una nicchia. Dalla finestra si accede, poi, ad una scala esterna intagliata nella parete rocciosa della falesia che conduce ad un’altra scala ipogea terminante alla “casa rossa”, antica dimora di  Acampora dal quale la grotta prende il nome. Gli usi di questa grotta sono sconosciuti ma, probabilmente, dati la sua architettura, lo stile dell’inscrizione ed il ceto sociale del proprietario, era legata alle attività massoniche.

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